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Lectio Magistralis - prof. Gian Maria Gros-Pietro

“Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Questa parabola di Confucio può ben rappresentare il concetto di investimento sulla formazione delle persone. Avere materie prime è utile, così come lo è avere risorse economiche da investire e macchine avanzate per produrre. Ma il collante che tiene insieme tutto questo e che può creare le condizioni per una crescita duratura e sostenibile, sono le persone capaci ed istruite, dotate di conoscenza, competenza e voglia di imparare.


 

“Investire nelle persone per una crescita sostenibile”

Lectio Magistralis

Università “Nostra Signora del Buon Consiglio”

6 Luglio 2022, Tirana

“Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. Questa parabola di Confucio può ben rappresentare il concetto di investimento sulla formazione delle persone. Avere materie prime è utile, così come lo è avere risorse economiche da investire e macchine avanzate per produrre. Ma il collante che tiene insieme tutto questo e che può creare le condizioni per una crescita duratura e sostenibile, sono le persone capaci ed istruite, dotate di conoscenza, competenza e voglia di imparare.

È per me un piacere e un onore affrontare oggi con voi un tema così importante, che riguarda due aspetti al centro del dibattito economico e sociale attuale. Da un lato, il concetto di sostenibilità che rappresenta una leva per ridurre costi, mitigare i rischi e aumentare la redditività, favorendo la revisione dei processi, l'ottimizzazione delle risorse e la riduzione degli sprechi, a beneficio di tutti gli stakeholders. Dall’altro, quello del patrimonio di conoscenze accumulate, abilità acquisite e competenze maturate attraverso l’istruzione da parte del singolo individuo, che negli anni è diventato un fattore sempre più rilevante, rivelandosi indispensabile per introdurre le innovazioni tecnologiche e organizzative dalle quali dipende la produttività complessiva dei fattori. Anche le competenze sono soggette a deprezzamento e obsolescenza e per questo l’investimento nelle persone è una decisione strategica cruciale per qualsiasi impresa.

  1. L’evoluzione del concetto di “capitale umano” nel tempo

Il concetto di capitale umano esiste sin dal Settecento, quando l’economista scozzese Adam Smith, pubblicando nel 1776 la sua opera principale “La ricchezza delle nazioni”, fornisce una definizione produttivistica del capitale umano, proponendo l’analogia tra l’investimento in macchinari produttivi (capitale fisico) e l’investimento formativo (capitale umano). Secondo Smith gli investimenti in capitale umano sono destinati ad accrescere la capacità produttiva e i redditi degli individui, mentre quelli in capitale fisico sono destinati a incrementare le capacità produttive e i redditi delle imprese. In entrambi i casi ci si attende un ritorno in termini di ricavi tale da eccedere i costi sostenuti e da remunerare in misura proporzionale l’investimento effettuato.[1] Inoltre, sempre secondo Smith, un individuo istruito non solo sarà un buon lavoratore ma sarà anche un cittadino più consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri, nonché più partecipe alla vita civile. Da qui la duplice funzione - economica e sociale – dell’istruzione, in grado di generare un circolo virtuoso tra sviluppo economico e sviluppo civile.

Dopo Smith, sebbene il concetto di capitale umano inizi ad arricchirsi di nuove sfaccettature, si deve attendere più di un secolo per raggiungere – con Marshall, nel 1879 - un altro importante traguardo: l’inclusione del concetto di capitale umano nella definizione di ricchezza. Secondo Marshall la ricchezza personale comprende tutte le energie, le capacità e le abitudini che contribuiscono direttamente all’efficienza produttiva degli uomini.[2]

Sebbene il concetto di capitale umano sia stato affrontato da vari studiosi nella storia del pensiero economico, è mancata fino ad un certo momento, una solida struttura teorica per la sua trattazione. La maggior parte degli economisti, pur sostenendo che le abilità acquisite e l’istruzione contribuivano a determinare l’ammontare di capitale umano, non accettava, in via di principio, il fatto che gli esseri umani potessero essere considerati, dal punto di vista economico, al pari del capitale fisico. L’istruzione rivestiva per loro un valore solo culturale, come bene di consumo, e non economico.

Solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso (anni ‘60) gli studi sul capitale umano sono stati rivoluzionati, grazie ai lavori di alcuni economisti di estrazione neoclassica[3] dell’Università di Chicago,[4] tra cui spiccano nomi come Theodore Schultz, Jacob Mincer e Gary Becker. Tali studiosi forniscono un supporto scientifico a due teorie che analizzano i benefici dell’investimento in competenze e conoscenze per le persone e per il sistema economico. La prima tesi sostiene che a un maggiore sviluppo del capitale umano corrisponde per i singoli individui un incremento delle loro retribuzioni e dei loro redditi. In base alla seconda teoria, il livello complessivo del capitale umano influenza la crescita e lo sviluppo economico del Paese.[5] Pertanto, a livello macroeconomico, le capacità competitive di un Paese e del suo sistema produttivo dipendono dal tasso di accumulazione e dal volume di investimenti in capitale fisico, ma anche dall’investimento e dallo stock di conoscenze incorporate nelle persone.

Il primo a considerare l’istruzione come un investimento nell’uomo, al pari dell’investimento in capitale fisico, e a valutarne gli effetti, i costi e i vantaggi, è Theodore Schultz. Egli considera l’istruzione parte integrante della persona che la riceve e, per primo, pone in evidenza la necessità di includere, oltre ai costi diretti - come le spese per tasse scolastiche, libri, trasporti, ecc. sostenuti dalle famiglie degli studenti - anche il costo-opportunità rappresentato dai guadagni perduti (foregone earnings), che un individuo avrebbe potuto ottenere se fosse entrato nel mercato del lavoro anziché proseguire nella frequenza scolastica. Questi concetti teorici vengono poi tradotti, in linguaggio analitico, prima da Jacob Mincer (1958)[6] e poi da Gary Becker (1964) [7]. Il primo elabora un modello in cui cerca di spiegare la distribuzione del reddito tramite i differenziali d’istruzione: sulla base di ipotesi estremamente semplificatrici, nel suo modello le differenze salariali tra le varie occupazioni si determinano in funzione della diversa durata del periodo di training antecedente l’assunzione, mentre le differenze di remunerazione tra coloro che esercitano la stessa professione sono determinate dall’esperienza accumulata sul posto di lavoro. Il modello di Becker, invece, descrive la scelta individuale[8] di investire in istruzione come un processo razionale in cui ogni persona confronta costi e benefici associati a tale scelta, in un’ottica di lungo periodo. Esposta in questi termini, la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi sembrerebbe l’esito di una libera scelta delle persone, che riflette la loro diversa valutazione dell’importanza del futuro.[9] Gli studi di Becker concludono, infine, che non solo l’individuo, ma anche la società beneficiano degli investimenti in istruzione sotto forma di tassi di crescita più elevati dell'occupazione e dell'economia in generale.[10]

Parallelamente alla Scuola di Chicago, altre teorie sul capitale umano sono state finalizzate per valutarne l’impatto sullo sviluppo economico e sulla crescita. In numerosi lavori[11] alcuni autori mostrano che l’incremento della produzione nazionale non è spiegabile statisticamente con l’evoluzione quantitativa dei fattori produttivi impiegati, ma risulta determinato da fattori di ordine qualitativo, dal progresso tecnologico e dalle scoperte scientifiche (fattori esogeni rispetto al sistema economico), concludendo che i tassi di crescita dei redditi nazionali sono determinati principalmente dall’investimento in capitale umano.

A fronte di questa “tardiva” presa di coscienza del ruolo centrale delle competenze delle persone, fino all’Ottocento, in quasi tutti i Paesi, le risorse destinate a istruzione e formazione sono state esigue. La situazione cambia radicalmente nel corso del nuovo secolo, con l’applicazione della scienza allo sviluppo di beni e di metodi di produzione più efficienti. Nel Novecento, istruzione, competenze e conoscenze diventano determinanti cruciali della produttività. Nel XX secolo la capacità di sviluppare e utilizzare competenze, le conoscenze, così come gli usi e costumi degli abitanti di un Paese, sono considerati un fattore primario del suo livello di ricchezza e qualità della vita. Negli anni più recenti, il sorgere dell’”economia del sapere”, che dipende meno dai prodotti manifatturieri e più dalla produzione e dalla gestione di dati e di informazioni, ha contribuito ulteriormente a mettere in luce il ruolo delle competenze acquisite dalle persone.[12]

L'istruzione oggi influenza praticamente ogni aspetto dell'esistenza umana, compresi i tassi di fertilità, la mortalità infantile, la salute, l'aspettativa di vita, la crescita della popolazione, l'occupabilità, i livelli di reddito, la crescita economica, i modelli di consumo, l'innovazione tecnologica e sociale, l'imprenditorialità, la consapevolezza pubblica, i valori sociali e la politica. L'istruzione è il mezzo attraverso il quale la società trasmette alle generazioni future in forma organizzata e condensata la somma totale e l'essenza della conoscenza e dell'esperienza che ha acquisito nel corso dei millenni. Insieme alle conoscenze accademiche, alle capacità mentali e professionali, l'istruzione può essere utilizzata per trasmettere valori, abilità interpersonali e psicologiche che sono essenziali per una maggiore realizzazione e benessere[13] dell’individuo e della comunità in cui vive.

  1. Istruzione e sviluppo economico e sociale

La capacità di elaborare informazioni e utilizzarle nella soluzione di problemi o nel processo di apprendimento, le competenze linguistiche, la capacità di operare con particolari tecnologie, la conoscenza scientifica sono tutti fattori cruciali per la crescita della produttività, a livello individuale e collettivo. Per questo motivo nelle economie più avanzate la capacità intellettuale è di gran lunga più importante di quella fisica nella determinazione del reddito personale e della dinamica di crescita dell’economia.

Un elemento di approfondimento importate del ruolo del capitale umano è associato al modello di crescita di Solow[14] che includeva nella funzione di produzione aggregata fattori che andavano oltre il capitale economico e il lavoro. L’evoluzione di fattori esogeni non controllabili in termini economici, come la dinamica della popolazione e quella delle scoperte scientifiche e tecnologiche riuscivano a spiegare le differenze tra crescita predetta e realizzata.

Nel tempo, il concetto di capitale dei modelli di crescita è stato esteso al concetto di capitale umano. Al pari del capitale fisico, da un punto di vista economico, l’accumulazione di capitale umano è il risultato di una decisione di investimento. L’investimento in formazione ha, infatti, l’effetto di accrescere la produttività del lavoratore esattamente come quello in capitale fisico. A differenza di quello fisico, la cui capacità trainante tende a ridursi fino a scomparire via via che l’accumulazione procede, a causa della sua produttività marginale decrescente, il capitale umano può essere un motore inesauribile della crescita. In altri termini, l’investimento in capitale umano può dar luogo a una crescita continua nel tempo a patto di mantenerlo nel tempo, con un processo di life long learning ovvero di apprendimento continuo.

Partendo da queste considerazioni, diversi economisti hanno evidenziato nei propri studi il contributo del capitale umano sulla crescita economica. A partire da Denison (1967, 1979)[15] che - usando una funzione di produzione che ha come input il capitale e il lavoro, dove la qualità di quest’ultimo è misurata da un indice degli anni di istruzione mediamente acquisiti dalla forza lavoro - ha dimostrato che l’istruzione contribuisce positivamente alla crescita del prodotto, stimando un valore fra il 15% e il 25% della crescita complessiva. Mankiw, Romer e Weil (1992)[16] estendono il modello di Solow con l’inclusione del capitale umano - misurato dai tassi di iscrizione alla scuola secondaria –  e riescono a spiegare circa i due terzi della variabilità dei tassi di crescita fra le diverse economie nazionali.

Secondo quanto teorizzato da Lucas[17] la creazione di esternalità positive è proprio ciò che rende il capitale umano diverso da quello fisico. L’investimento in capitale umano di un individuo aumenta la produttività di altri individui[18] e il maggiore investimento in capitale umano accresce il suo rendimento per altri individui.[19]

Altri modelli teorici della crescita, poi, pur non assegnando un ruolo centrale al capitale umano, ne evidenziano l’importanza. Romer nei suoi lavori[20] propone un modello di crescita in cui i cambiamenti tecnologici sono endogeni, la crescita di lungo periodo è determinata principalmente dall’accumulazione di conoscenza e la produzione è funzione dello stock di conoscenza e mostra rendimenti crescenti. Nel modello di Romer il motore della crescita è la produzione di nuove conoscenze tecnologiche e ciò che garantisce una crescita costante nel tempo è, anche in questo caso, la presenza di esternalità positive[21] determinate dal capitale umano. In altri termini, la produzione di conoscenze può crescere senza limiti. Questa è nella visione di Romer la chiave della crescita delle economie capitalistiche.[22]

Si può discutere sui meccanismi economici sottostanti la relazione fra capitale umano e la crescita, ma non sul fatto che questa relazione esista e sia positiva.

In uno studio della World Bank, gli autori[23] hanno esaminato la ricchezza pro capite in varie regioni del mondo scomponendo il contributo di alcuni fattori della produzione, tra i quali il capitale umano, il capitale fisico e varie risorse naturali. Ciò che emerge è che in quasi tutte le aree del mondo (ad eccezione del Medio Oriente dove si concentrano Paesi molto particolari ovvero i principali esportatori di petrolio) il contributo delle competenze delle persone alla ricchezza pro capite varia dal 60% all’80%, ed è di gran lunga il più consistente fra tutti i fattori elencati incluso il capitale fisico.

Sianesi e Van Reenen (2000)[24] hanno rilevato con un’analisi comparata che un aumento complessivo dell'1% dei tassi di iscrizione scolastica porta a un aumento della crescita del PIL pro capite compreso tra l'1 e il 3%. Un anno in più di istruzione secondaria determina un aumento di oltre l'1% della crescita economica ogni anno.

Anche Robert Barro (1991, 1997, 1998, 2000)[25] ha verificato l’esistenza di una correlazione fra tasso di crescita in un certo periodo e livelli di istruzione in un campione molto ampio di Paesi. Ciò che emerge dalle sue analisi è che il tasso di crescita del prodotto nazionale lordo è positivamente correlato con il livello di istruzione della popolazione all’inizio del periodo considerato. Nello studio del 2000, Barro stima che a ogni anno aggiuntivo di scolarizzazione aumenti il tasso di crescita con un impatto dello 0,44% annuo. Barro interpreta questo risultato nel senso che tanto maggiore è il livello di istruzione iniziale tante più esternalità si generano e tanto più cresce l’economia.

Ma i benefici dell’investimento in formazione vanno oltre quelli economici e responsabili politici, ricercatori e professionisti interessati all'istruzione stanno iniziando a considerare quale ruolo possa svolgere nel promuovere il benessere e nel ridurre le disuguaglianze.

Se in una prima definizione delle Nazioni Unite, nel 1953, il capitale umano veniva delineato come “l’investimento compiuto per accrescere la produttività della forza lavoro”, più di recente, nella definizione dell’OCSE,[26] il termine “capitale umano” è venuto a indicare il patrimonio di abilità, capacità tecniche e conoscenze che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico”. Se ne è così riconosciuto non solo il valore economico nel migliorare la qualità del lavoro, nell'aumentare l'efficienza dei processi produttivi e nel facilitare l'adozione e lo sviluppo di tecniche e prodotti nuovi, ma gli è stata anche conferita un’enfasi sugli aspetti qualitativi del contributo che il lavoro umano apporta al progresso economico.

La letteratura[27] offre evidenze del fatto che, per esempio, le persone più istruite godono in media di una salute migliore, perché sono maggiormente consapevoli del valore della prevenzione e del costo dei comportamenti a rischio. Un livello di istruzione più elevato non solo fornisce i mezzi per migliorare le condizioni socioeconomiche in cui le persone vivono e lavorano, ma può anche promuovere l'adozione di stili di vita più sani e facilitare l'accesso a cure sanitarie adeguate. Nella media dei Paesi OCSE,[28] all'età di 30 anni, le persone con istruzione terziaria possono aspettarsi di vivere circa 5 anni in più rispetto a quelle con istruzione secondaria superiore (54 anni contro 49 anni). Gli adulti con istruzione terziaria non solo si aspettano di vivere più a lungo, ma riferiscono anche di essere in salute migliore rispetto agli adulti con istruzione secondaria superiore inferiore.

I benefici di una maggiore istruzione si estendono a molte altre dimensioni della vita umana. Vi sono evidenze di effetti positivi dell’investimento in conoscenza sulla diffusione dell'illegalità e sull'innalzamento del senso civico e del capitale sociale. In questo, l'investimento in conoscenza è un importante fattore di coesione sociale e di benessere dei cittadini.[29]

Livelli di istruzione più elevati determinano, inoltre, rendimenti più elevati per il settore pubblico, dal momento che gli adulti con istruzione terziaria pagano tasse sul reddito e contributi sociali più elevati. L’investimento nella formazione delle persone è poi provato essere il più importante fattore di riduzione delle disuguaglianze. Le performance future dei ragazzi nel mondo del lavoro, le retribuzioni, i rendimenti derivanti dall’investimento in educazione dipendono in maniera consistente dal contesto familiare di riferimento. La famiglia gioca un ruolo centrale nella definizione del reddito dei suoi componenti. Le scelte inerenti all’istruzione sono tipicamente correlate con le caratteristiche dei genitori, il profilo reddituale della famiglia, la ricchezza ereditata, il titolo di studio, il profilo culturale e la città di residenza.[30] È per questo che solo politiche in grado di ridurre l’incidenza di una o più di queste variabili sulle scelte scolastiche individuali, possono essere uno strumento efficace per ridurre l’ineguaglianza di opportunità alla partenza. Le persone che provengono da contesti svantaggiati hanno meno probabilità di raggiungere livelli elevati di istruzione, avere buoni risultati, trovarsi lavori adeguati o perseguire l'apprendimento permanente. Di conseguenza, hanno anche meno probabilità di sviluppare le competenze necessarie per avere successo in un contesto economico in continua evoluzione. Nella media nei Paesi dell'OCSE[31], si stima che un bambino che proviene da famiglia svantaggiata impiega cinque generazioni per raggiungere il reddito medio nazionale.

  1. Capitale umano e innovazione

Oltre ad alimentare lo sviluppo economico e sociale, il patrimonio di conoscenze, competenze e abilità di cui le persone sono dotate accresce la produttività direttamente, aumentando la capacità della forza lavoro e, indirettamente, incentivando l’innovazione e l’adozione di tecnologie avanzate.

Se da un lato la politica industriale dovrebbe offrire gli strumenti per favorire gli investimenti in innovazione, dall’altro essa dovrebbe mettere in campo azioni che agevolino l’“innovazione organizzativa” non tralasciando la formazione, la riqualificazione e l’allineamento delle competenze della forza lavoro. I fenomeni di fondo che stanno investendo le nostre economie, infatti, stanno modificando profondamente, e continueranno a farlo, le caratteristiche professionali richieste ai lavoratori. Si osserva già da tempo in molti Paesi una “polarizzazione” delle professioni: una crescita più pronunciata delle mansioni manuali e delle professioni a più alta qualificazione a scapito degli impieghi intermedi. Per lungo tempo, l’interpretazione prevalente è stata che le nuove tecnologie avvantaggiano i lavoratori skilled rispetto a quelli unskilled, rafforzando dinamiche già messe in atto con l’avvio della globalizzazione. Ma le conseguenze della diffusione dell’ICT sono probabilmente più complesse: se i computer rappresentano un complemento alle funzioni manageriali e intellettuali non di routine, essi sono un sostituto per quelle routinarie, che possono essere effettuate da un sistema computerizzato, mentre hanno un impatto trascurabile per le attività manuali non ripetitive, che non possono essere rimpiazzate da una macchina. Le competenze degli operatori, come quelle degli utilizzatori, dovranno essere aggiornate rapidamente, a causa della velocità con cui vengono introdotte le innovazioni tecnologiche.

Anche il sorgere della già citata “economia del sapere” richiede una forza lavoro sempre più istruita e con competenze in continuo aggiornamento. Basti pensare che nel 1995, il 28% della manodopera attiva dei Paesi dell’OCSE lavorava nel settore industriale e oltre il 63% nel settore dei servizi, mentre nel 2020, nell’industria la percentuale si attesta al 15% rispetto a una percentuale di oltre il 74% nel settore dei servizi.[32] È altamente probabile che, con la progressiva scomparsa dei lavori a contenuto più routinario a favore di quelli non di routine e con il procedere dell’innovazione tecnologica, i nuovi lavori che si renderanno disponibili richiederanno di andare oltre l’applicazione di conoscenze standardizzate.

Il capitale umano non coinciderà più semplicemente con il bagaglio conoscitivo delle persone e la produttività dei lavoratori non sarà più esclusivamente legata alle conoscenze acquisite sui banchi di scuola. Assumerà invece importanza crescente ciò che gli educatori definiscono come “competenza”: la capacità, cioè, di mobilitare, in maniera integrata, risorse interne (saper fare, atteggiamenti) ed esterne, per far fronte in modo efficace a situazioni spesso inedite e non routinarie.  Prendendo a prestito le parole del Governatore della Banca d’Italia “Oltre al bagaglio irrinunciabile costituito da conoscenze tradizionali (lingue, matematica, scienze, economia, educazione civica, ma anche storia, arte, geografia), sempre più occorrerà integrare la padronanza dei concetti afferenti a queste discipline con quelle che stanno emergendo come le competenze del XXI secolo: l’esercizio del pensiero critico e l’attitudine al problem solving, la creatività e la disponibilità positiva nei confronti dell’innovazione, la capacità di comunicare in modo efficace, l’apertura alla collaborazione e al lavoro di gruppo”.[33]  Per costruire un futuro sostenibile oltre a interrogarsi sulle professionalità e sull’adattabilità della forza di lavoro di domani, sarà fondamentale quindi, non solo accrescere le conoscenze fornite tramite il sistema scolastico, ma anche incrementare le competenze necessarie per lavorare e produrre in un contesto che l’apertura internazionale e l’espansione impetuosa delle nuove tecnologie hanno reso assai diverso da quello prevalente fino a pochi anni fa.

L’investimento in formazione diventa, quindi, un’attività da svolgere lungo l’intero arco della vita. Il percorso scolastico che abitualmente inizia verso l’età di 4 o 5 anni e che si protrae fino alla fine dell’adolescenza o qualche anno dopo aver raggiunto i 20 anni di età, contribuisce solo in parte alla creazione del capitale umano.

Anche il progressivo invecchiamento demografico, che si registra nella maggior parte dei Paesi cosiddetti sviluppati e che induce a prolungare la durata della vita lavorativa della manodopera attiva, accresce il bisogno di continuare ad aggiornare le proprie competenze e conoscenze per far fronte ai rapidi cambiamenti che avvengono sul posto di lavoro. Nel mondo del lavoro, le persone di tutte le età devono continuare a innalzare i loro livelli di competenze, che a loro volta possono migliorare le loro prospettive di retribuzione e facilitare la ricerca di un nuovo lavoro se lo perdono.

Tuttavia, l’obiettivo della formazione continua può essere raggiunto solo grazie a profondi cambiamenti nell’offerta formativa delle scuole e delle imprese.

Migliori possibilità di occupazione e guadagni più elevati sono certamente incentivi per investire nell'istruzione e per proseguire tale investimento durante l’attività professionale. In termini di rendimento dell’istruzione, nella media OCSE, un uomo o una donna possono aspettarsi di ricevere circa 7$[34] per ogni dollaro investito nell'istruzione terziaria, sebbene le donne continuino ad ottenere benefici totali inferiori rispetto agli uomini. In media, i rendimenti finanziari dell'istruzione terziaria sono circa 1,5 volte superiori ai rendimenti dell'istruzione secondaria superiore sia per gli uomini che per le donne e il 68% degli adulti con istruzione terziaria guadagna più della mediana di tutti i lavoratori.

Il miglioramento della qualità del capitale umano non può, quindi, prescindere da interventi consistenti sulla scuola e sull’università, che mirino a modernizzare le infrastrutture, a migliorare la formazione e l’apprendimento e all’adeguamento di programmi e metodi di insegnamento. Anche le imprese private hanno un ruolo fondamentale da svolgere, accrescendo gli investimenti in nuove tecnologie, che stimolerebbero la domanda di lavoratori altamente qualificati innescando potenzialmente un circolo virtuoso di domanda e offerta di istruzione superiore, a vantaggio di tutto il settore privato e della società in generale.[35]

 

  1. Investimento nelle persone e crescita sostenibile

Abbiamo fin qui visto come l’istruzione può contribuire alla crescita economica, Ma oggi c’è da chiedersi se sia possibile una crescita senza limiti.

Nella realtà in cui viviamo è sempre più evidente che qualcosa si sia rotto nel fragile equilibrio che lega, da sempre, la natura e l’umanità. Ce ne accorgiamo dagli effetti drammatici sempre più intensi e frequenti del cambiamento climatico, dalla riduzione della biodiversità e dalle conseguenze che derivano da decenni di attività umane non sostenibili. Circa il 25% delle specie vegetali e animali sono minacciate da estinzione. Inoltre, dal 1970 ad oggi il 58% della biodiversità è stata persa e le emissioni di CO2 sono cresciute del 90%.[36] Le conseguenze dello sfruttamento dell’ambiente e il perseguimento di una crescita con obiettivi di breve termine, hanno avuto risvolti negativi sulla qualità della vita e sulle condizioni dei lavoratori, cioè sul capitale sociale e culturale, con l’effetto di allargare le periferie del mondo.

La globalizzazione ha generato una crescita diffusa e una convergenza dei redditi tra Paesi, ma oggi ci accorgiamo che questa crescita è maturata su un equilibrio poggiato su molti disequilibri.

Una distorsione derivante dalla globalizzazione riguarda lo sfruttamento delle risorse. Le imprese e i consumatori hanno assunto decisioni di investimento e di consumo valutando principalmente il fattore risparmio e assumendo che tale vantaggio fosse duraturo nel tempo, come se le materie prime e la forza lavoro a basso costo di Paesi emergenti, fossero illimitati. Questa situazione ha convinto, ad esempio, le imprese europee a delocalizzare la produzione. La delocalizzazione ha interessato soprattutto i siti produttivi di medio basso livello tecnologico, stravolgendo il tessuto produttivo locale, che ha visto perdere posti di lavoro, maestranze anche specializzate, know how, e competenze.

Inoltre, la frontiera della conoscenza si muove rapidamente e il mercato del lavoro richiede competenze sempre più specializzate, con molti lavoratori e imprese che faticando a stare al passo dell’evoluzione tecnologica rischiano di rimanere indietro.[37] La formazione qualificata è un imperativo per la sopravvivenza delle aziende, dei lavoratori e del territorio di cui sono espressione. Viceversa, la mancanza di istruzione, l’alto tasso di abbandono scolastico, e la mancanza di aggiornamento per i lavoratori in età avanzata sono un’ulteriore causa arretratezza.

In un contesto gravato da contrasti e squilibri, non si può non prendere atto che viviamo in un ambiente naturale finito, capace solo in parte di rigenerare le risorse e mantenere il capitale tramandato da generazione in generazione. Si pone, quindi, il dilemma di come soddisfare le necessità di sviluppo nel presente senza rinunciare al futuro.

La crescita per essere sostenibile deve essere resiliente ai cambiamenti e deve poter, quindi, attingere al capitale in dote all’umanità, nelle sue varie forme ed espressioni, quali il capitale naturale, biologico, finanziario, sociale, tecnologico e culturale. Queste ultime sono il frutto della conoscenza umana, della sua creatività e dell’innovazione sociale e necessitano di cura e investimenti per essere mantenute e rigenerate nel tempo.[38] 

Il modello economico dello sviluppo sostenibile prova a dare una soluzione che concili le esigenze delle generazioni attuali con quelle future, affrontando il consumo del capitale ricevuto in dote e la sua rigenerazione. In sintesi, esso propone di ridurre il consumo delle risorse attuali a un livello tale da non intaccare il capitale naturale non rinnovabile, preservando quindi la capacità del Pianeta di rigenerarsi e dell’uomo di sopravvivere. Questo comporta la salvaguardia del risparmio e della dotazione di capitale finanziario, la pianificazione di obiettivi economici a medio lungo termine, la redistribuzione del reddito e della ricchezza. Diventa prioritaria una trasformazione dei canoni produttivi e di consumo da un livello quantitativo ad un livello qualitativo, favorendo un miglioramento tecnologico della produttività delle risorse non rinnovabili[39] e, dove possibile, la sostituzione delle fonti non rinnovabili con quelle rinnovabili.

L’adozione di tecnologie produttive innovative quali la robotica, l’intelligenza artificiale, la bio-ingegneria, le neuroscienze, permettono di ridurre i costi di produzione, di aumentare la produttività del lavoro, di sviluppare nuovi prodotti e servizi, e quindi di creare occupazione. Inoltre, la diffusione di modelli di consumo innovativi, cioè quelli focalizzati sull’identità digitale, sulle piattaforme digitali e sulla connessione tra prodotti (internet of things), contribuisce a ridurre gli sprechi.[40] L’adozione di tecnologie e processi produttivi a basso consumo e a basso impatto ambientale consentono, infine, di limitare lo sfruttamento di acqua, cibo, foreste, e la distruzione della biodiversità.

È pertanto d’obbligo innovare e creare delle figure professionali competenti e specializzate, manager e governanti illuminati, che rendano la transizione green economicamente conveniente e ampiamente condivisa dalla società. Lo sviluppo delle capacità umane e della coscienza sociale e ambientale sono le leve principali con cui una società può far pace con la natura e crescere in modo sostenibile nel lungo periodo, perché salvare il pianeta significa sostanzialmente salvare l’uomo.

Diventa pertanto cruciale, per ogni Paese, sostenere adeguati investimenti nel capitale umano. L’estrazione sociale e le disponibilità economiche non possono essere un impedimento alla scolarizzazione, che è il principale strumento di upgrade sociale. Non lasciare nessuno indietro e prospettare un percorso di crescita, anche per chi ha meno talento, aiuta a raggiungere un’armonia sociale e solidale che rende duratura la crescita.

Vanno, infine, considerati i gravi danni di una formazione senza sbocchi lavorativi, che comporta il sostenimento di una spesa per formare persone che poi saranno costrette a migrare, contribuendo così allo sviluppo di altri Paesi.[41] Se l’emigrazione è a senso unico, le spese di formazione ed educazione diventano un costo vivo per il Paese che le ha sostenute. Appare, allora, importante investire  significative risorse pubbliche per pianificare un processo di formazione-lavoro dedicato ai giovani e in grado di limitare la fuga dei cervelli.[42]

Riguardo all’istruzione e alla cura del capitale umano, l’Italia e l’Albania condividono purtroppo alcuni fenomeni: l’emigrazione dei giovani, la denatalità[43] e le spese per l’istruzione insufficienti in rapporto al Pil. La strada da percorrere per sanare queste mancanze è quella di valorizzare i meritevoli, senza dimenticarsi che una società sostenibile non può permettersi il lusso di lasciare indietro nessuno.[44]

 

  1. Perché una banca è interessata all’investimento in capitale umano? Il caso ISP

Il valore di ogni impresa, e anche quello di un istituto bancario moderno, è strettamente legato al patrimonio intellettuale di cui dispone, solitamente declinato nei concetti del capitale umano, relazionale e organizzativo.[45] Tra queste espressioni, un ruolo preminente è assegnato alle persone, senza le quali una banca non potrebbe costruire e consolidare rapporti commerciali con la propria clientela, né strutturare la propria organizzazione secondo principi di efficienza e sostenibilità.

La diversificazione della redditività bancaria - tradottasi in un maggiore focus sui ricavi da commissioni rispetto ai margini d’interesse - è forse il caso più evidente di come sia necessario formare il personale alle tecniche commerciali (vendita di prodotti finanziari propri o di terzi) e alla conoscenza di servizi prossimi a quelli bancari (assicurazioni, sistemi di pagamento, monetica).[46] Allo stesso modo la diffusione della digitalizzazione e dei servizi di internet banking ha imposto, unitamente all’ingresso di incumbent come le società fintech e tecnologiche, un profondo ripensamento delle competenze dei dipendenti delle banche dettato dall’esigenza di comprendere non solo il nuovo contesto competitivo,  ma la domanda stessa di una clientela sempre più abituata ai servizi avanzati, gestiti però con modalità più flessibili e raffinate.[47] Più recentemente, la stessa pandemia da Covid-19 ha rivoluzionato il modo in cui le banche hanno fronteggiato le difficoltà logistiche ed organizzative derivanti dalle restrizioni alla mobilità e dalle limitazioni alle relazioni interpersonali imposte a tutela della salute pubblica. Il complesso di questi eventi ha certamente ridefinito il concetto di operatività bancaria sostenibile (il cosiddetto “Banking 4.0” fondato sulla digitalizzazione[48]), ma ha anche confermato la centralità delle competenze delle persone in tale processo di modernizzazione.

L’investimento nelle persone rappresenta quindi per le banche anzitutto una presa di coscienza che il working environment è in costante e profonda mutazione, e con esso la competitività del settore e la sostenibilità dei risultati reddituali: senza un organico al passo con le soft skills dettate dall’evoluzione tecnologica, nessuna organizzazione del lavoro è destinata a sopravvivere.

Un esempio in tal senso è dato dalle azioni di reskilling (ovvero l’insegnamento di nuove competenze finalizzate all’assunzione di un diverso ruolo lavorativo), di upskilling (l’approfondimento delle conoscenze esistenti) e di redeployment (la ricollocazione che si rende necessaria quando una mansione viene resa obsoleta dall’avanzamento tecnologico). Ancora più pregnante è, però, la necessità di creare un’intera cultura aziendale basata non solo sul continuo aggiornamento professionale dei singoli dipendenti, ma soprattutto sulla loro capacità di condividere le conoscenze in team interdisciplinari in grado di trovare soluzioni innovative ed efficaci.[49] Si pensi, a titolo di esempio, ad un gruppo di lavoro incaricato di definire un nuovo prodotto finanziario che si avvalga del contributo di dipendenti provenienti dalle aree vendite, marketing, finanza, risk e legale: per ottenere una cooperazione proficua tra tutti i partecipanti, è necessario che si investa non solo nelle competenze specifiche di ciascuna area, ma anche e soprattutto in skills quali il pensiero concettuale, la capacità di analisi e di ricerca delle informazioni e nell’abilità generale di colmare i gap cognitivi tra le varie funzioni.[50]

La professionalità, nel settore bancario come in tutti i comparti maggiormente esposti alle dinamiche della globalizzazione e dell’evoluzione tecnologica, è sempre più basata sulla capacità di apprendimento e di interpretazione di fenomeni economici complessi più che sulla mera accumulazione di nozioni in ambiti ristretti e non intercomunicanti.

In Intesa Sanpaolo le persone rappresentano da sempre una risorsa strategica, come confermano la mission e i valori del Gruppo.[51] Tradurre questo sistema di valori in azioni concrete richiede, tuttavia, un approccio organizzativo pragmatico, in grado non solo di riconoscere il talento di ogni persona e di assegnarlo al ruolo più adatto, ma anche di richiedere rinnovamento e flessibilità ogni volta che sia opportuno anticipare gli inevitabili cambiamenti del contesto economico e della società. Così come accaduto in passato, anche quest’anno Intesa Sanpaolo intende concretizzare il proprio manifesto di valori attraverso il Piano d’Impresa,[52] nel quale un ruolo importante è quello delle iniziative rivolte alla valorizzazione del personale[53]. È attraverso questi interventi che Intesa Sanpaolo, primo datore di lavoro privato in Italia, ha ottenuto l’importante certificazione dal Top Employers Institute, l'ente globale attestatore delle eccellenze in ambito risorse umane che analizza e valuta sei macroaree comprendenti venti ambiti e best practices, tra cui benefit, sviluppo di carriera, formazione, rispetto delle diversità, welfare e talent attraction.[54]

Come detto la forza di una banca dipende anche da quella del sistema sociale ed economico complessivo in cui essa opera. Consapevole di tale relazione, Intesa Sanpaolo realizza azioni di promozione rivolte all’intero sistema-Italia. Ad esempio, il Programma di Inclusione Educativa mira a garantire concretamente il diritto allo studio e lo sviluppo delle life skills del futuro mediante un investimento in istruzione e ricerca rivolto al sostegno allo studio, alla valorizzazione del talento e del merito, al contrasto della dispersione scolastica e all’ampliamento delle opportunità di impiego per i giovani.[55]

Allo stesso modo, il sostegno del Gruppo alla ricerca scientifica si concretizza nelle varie partnership e collaborazioni con atenei e centri di ricerca, creatori di competenze ma soprattutto di talenti innovatori in grado di portare beneficio all’intero Paese.

Non meno importante è inoltre il supporto di Intesa Sanpaolo ai competence center, i partenariati pubblico-privati ad alta specializzazione su tematiche di “Industria 4.0” che svolgono attività di orientamento e formazione alle imprese, nonché di supporto nell'attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale di nuovi prodotti e processi. Il nostro Gruppo, che partecipa ai consorzi Bi-Rex di Bologna (orientato ai big data) e Smact di Venezia (dove si lavora all’artificial intelligence of things), ha appena creato a Torino CENTAI un laboratorio di ricerca avanzata sull’intelligenza artificiale.

Due cardini importanti sui quali Intesa Sanpaolo fa affidamento per diffondere la cultura finanziaria ed imprenditoriale sono, infine, il Museo del Risparmio e l’Innovation Center. Il primo ha come mission la diffusione dell’educazione finanziaria anche attraverso i moderni strumenti dell’edutainment, creando percorsi formativi che coniugano gli elementi alla base della buona gestione del denaro con la tecnologia. Il tutto finalizzato a aumentare il grado di benessere individuale e collettivo, fondamentale tassello per la solidità di qualunque sistema economico. L’Innovation Center è, invece, la società del Gruppo Intesa Sanpaolo dedicata alla frontiera dell'innovazione: esplora scenari e tendenze future, sviluppa progetti di ricerca applicata, supporta startup ad alto potenziale e accelera la trasformazione delle imprese secondo i criteri dell'open innovation e dell'economia circolare, per fare di Intesa Sanpaolo la forza trainante di un'economia più consapevole anche in ambito ambientale e sociale.

 

  1. Conclusioni

L’investimento nelle persone è un obiettivo strategico irrinunciabile per l’impresa. Non farlo o procrastinarlo causa perdite di produttività, crescita economica asfittica, riduzione deli tassi di occupazione, scarso sviluppo tecnologico e, indirettamente, aumenta la fragilità dell’ambiente in cui viviamo. La formazione delle persone, la cura del patrimonio ambientale e sociale richiede, però, una classe dirigente illuminata e al passo con i tempi.

L'interazione costante, lo scambio, la dipendenza reciproca e il rafforzamento tra l'individuo e la collettività conferiscono alle persone la capacità unica di autosviluppo e auto-accrescimento. Queste caratteristiche spiegano il carattere evolutivo della civiltà. Per tutte queste ragioni, l’investimento in capitale umano è il più importante fattore di riduzione delle disuguaglianze e, nel lungo periodo, anche il miglior strumento di benessere diffuso. Fatemi chiudere ricordando che le competenze delle persone vanno custodite e rigenerate, perché hanno la prerogativa di produrre il cambiamento positivo, che nasce dallo sforzo ancestrale dell’umanità alla sopravvivenza e all’adattamento, non perdendo di vista il futuro.

 

[1] “Quando si impianta una macchina costosa ci si deve attendere che il lavoro straordinario che essa farà prima di dover essere messa fuori uso per deperimento ricostituirà il capitale impiegatovi, oltre, almeno, ai profitti ordinari. Un uomo istruito al costo di molto lavoro e molto tempo a una di quelle occupazioni che richiedano destrezza e abilità straordinarie può essere paragonato a una di quelle macchine costose” (La ricchezza delle nazioni, Adam Smith, 1776)

[2] Principi di economia, Marshall A. (1972)

[3] Secondo gli economisti classici le leggi economiche sono naturali, e la natura determina un ordine sociale ideale. L’organizzazione sociale dipende dalla buona conduzione individuale degli affari. Essi, pertanto, analizzano la dimensione microeconomica studiando i prezzi, il mercato, il comportamento degli imprenditori e a livello macroeconomico si dedicano all’analisi della dinamica della crescita, si veda Schumpeter J.A. (1990), Storia dell’analisi economica, (tit. orig.: (1954), History of Economic Analysis), Bollati-Boringhieri, Torino

[4] La Scuola di Chicago rappresenta l’orientamento del pensiero economico neoliberista costituitosi negli Stati Uniti tra gli anni ’30 e ’40 presso l’Università di Chicago. Si affermò negli anni ’50, e, ancor più negli anni ’60, grazie ad economisti quali Friedman, Stigler, Simon, Becker, Schultz, Mincer, molti dei quali insigniti con il premio Nobel. La scuola di Chicago fonda le sue teorie economiche sulla libertà individuale, sulla concorrenza del mercato, riconoscendo allo Stato il ruolo di garante del libero gioco del mercato. Oltre ai contributi alla teoria economica dei prezzi e a quella monetaria, pilastri fondativi della teoria economica della Scuola di Chicago, ad essa viene riconosciuto un ruolo decisivo nella formulazione della teoria del capitale umano, e alla nascita dell’economica dell’istruzione (Oltre il capitale umano, Rubettino, Soveria Mannelli, 2004, Refrigeri L., 2002).

[5] Il capitale umano come risorsa strategica, Global Collection, Biggeri L. (2006)

[6] Mincer, Investment in Human Capital and Personal Income Distribution, Journal of Political Economy Vol. 66, No. 4 (Aug,1958), Published By: The University of Chicago Press

[7] Becker, G. Human Capital, Columbia University Press: New York, NY, USA, 1964.

[8] G.S. Becker (1993) ha esteso la definizione produttivistica di capitale umano includendovi la salute e persino il comportamento (Evolution of the Concept of “Human Capital” in Economic Science, Vyacheslav A. Perepelkin, Elena V. Perepelkina and Elena S. Morozova, International Journal of Environmental & Science Education, 2016, Volume 11, No. 15, 7649-7658)

[9] Povertà ed istruzione: alcune riflessioni ed una proposta di indicatori, Commissione di indagine sulla povertà e sull'emarginazione-Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per gli affari sociali, Checchi D. (1997).

[10] Evolution of the Concept of “Human Capital” in Economic Science, Vyacheslav A. Perepelkin, Elena V. Perepelkina and Elena S. Morozova, International Journal of Environmental & Science Education, 2016, Volume 11, No. 15, 7649-7658

[11] Abramovitz, M., The Passing of Kuznets Cycles, 1968; Schmookler, J., Invention and Economic Growth, Harvard Press, Cambridge, 1966. Solow, R., Capital Theory and the Rate of Return, North-Holland Publishing Company, Amsterdam, 1963

[12] OECD Insights, Human Capital: How what you know shapes your life, 2007

[13] Human Capital and Sustainability, IvoI. Slaus, Garry Jacobs, dicembre 2011 (aggiornamento al 2016)

[14] Technical change and aggregate production, Solow 1957

[15] Denison E., Why Growth Rates Differ, The Brookings Institution, Washington D.C., 1967; Denison E., Accounting for Slower Economic Growth: The United States in the 1970s, The Brookings Institution, 1979

[16] Mankiw N.G., Romer D., Weil D.N., A Contribution to the Empirics of Economic Growth, Quarterly Journal of Economics, vol.107(2), 1992

[17] On the Mechanics of economic development, Lucas, 1988

[18] Ci si riferisce ai vantaggi che derivano dal fatto di lavorare a contatto con persone istruite e di scambiare conoscenze e esperienze.

[19]Il meccanismo funziona nel modo seguente: tanto maggiore è il numero di ingegneri e di coloro che fanno ricerca e sviluppo, tanto più rapida è la produzione di nuove conoscenze tecnologiche e tanto più importante diventa acquisire tali conoscenze attraverso l’istruzione e l’apprendimento per ottenere una più elevata remunerazione nel mercato del lavoro.

[20] Increasing return and long-run growth, Romer, 1986. Endogenous Technical Change, Romer, 1990

[21] Il bene ‘conoscenza’ ha caratteristiche molto particolari. Si tratta infatti di un bene non rivale nel senso che una specifica conoscenza può essere usata da più individui contemporaneamente senza alcun problema. Non è necessario reinventare la ruota per poterne usare l’idea in un numero pressoché infinito di applicazioni. Una volta inventata contribuirà per sempre alla crescita della produttività e dell'efficienza nella produzione di diversi beni senza costi aggiuntivi. In altri termini il costo di produzione dell’idea deve essere sostenuto una sola volta. Questo non accade nel caso degli altri beni: un macchinario impiegato nella produzione tende a logorarsi e, a un certo punto, dovrà essere sostituito da un altro la cui produzione comporterà un certo costo. Non potrà cioè contribuire indefinitamente alla crescita della produzione. Questa apparentemente piccola differenza ha notevoli implicazioni perché l’incidenza del costo di produzione delle conoscenze diminuisce all’aumentare della produzione dei beni che ne fanno uso Inoltre, l'accumulazione di conoscenze ha l'effetto di rendere più facile e meno costoso lo sviluppo di nuove conoscenze per il semplice motivo che le vecchie idee sono il principale input nella produzione delle nuove e possono essere usate senza costi aggiuntivi. Infine, le possibilità di creare nuove idee e di migliorare quelle esistenti sono pressoché inesauribili. Tutto ciò fa sì che l’accumulazione delle conoscenze non comporti una riduzione della loro capacità di creare valore economico e quindi non diminuisce l’incentivo a investire.

[22] Il capitale umano “entra” nella produzione di conoscenza fornendo due input fondamentali: lo stock di conoscenza già accumulata e le capacità di ricercatori e sviluppatori. Scrive lo stesso Romer: “una persona dotata di istruzione ed esperienza è l’input cruciale nel processo per tentativi ed errori, formazione e articolazione delle ipotesi che, in ultima analisi, genera una valida nuova idea che può essere trasmessa e usata da altri”. Ne consegue che tanto maggiore è il numero dei ricercatori impegnati nella Ricerca & Sviluppo (e tanto maggiori le loro capacità), tanto più rapido sarà il ritmo di creazione di nuove conoscenze e, di conseguenza, il tasso di crescita dell’economia. In questo caso l’elemento cruciale non è l’accumulazione di capitale umano ma, piuttosto, la sua allocazione in attività di ricerca. Resta comunque il suo ruolo determinante nel sostenere la crescita dell’economia.

[23] Dixon D.A. e Hamilton K., Expanding the measure of Wealth, Finance & Development, Dicembre 1996.

[24] The Returns to Education: A Review of the Macro-Economic Literature, WP Center for the Economics of Education, November 2000

[25] Barro R.J., Economic Growth in a Cross Section of Countries, Quarterly Journal of Economics, vol.106(2), 1991; Barro R.J., Determinants of Economic Growth: A Cross Country Empirical Study, MIT Press, 1997; Barro R.J., Human Capital and Growth in Cross Country Regressions, Harvard University, mimeo, 1998; Barro, R. J., Education and economic growth. Paper presented at the international symposium organized by the OECD and HRDC, Quebec City, Canada, 19-21 March 2000

[26] OECD, The Well-being of Nations: The Role of Human and Social Capital, OECD, Paris, 2001

[27] Feinstein et al., What are the effects of education on health?, Measuring the Effects of Education on Health and Civic Engagement, Proceedings of the Copenhagen Symposium (Published by OECD), 2006; Cutler and Lleras-Muney, Education and health: evaluating theories and evidence, Working Paper 12352, 2006 (http://www.nber.org/papers/w12352 ), NBER

[28] Education at glance. OCSE 2021. Tutti i dati presentati nel seguito del presente scritto, relativi alla media dei Paesi OCSE, fanno riferimento a tale report, se non diversamente specificato.

[29] Capitale umano, innovazione e crescita economica, Ignazio Visco (2014).

[30] Carneiro e Heckman ,Human capital policy, Working Paper 9495 2003 (http://www.nber.org/papers/w9495 ),

[31] Per i dati riportati in questa sezione il riferimento è Education at glance. OCSE 2021.

[33] Capitale umano e crescita, Intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, 2015

[34] Education at glance. OCSE 2021.

[35] Crescita economica e produttività, Intervento del governatore Visco all’EuroScience Open Forum del 4 Settembre 2020

[36] David Gosset, fondatore del China-Europe-America Global Initiative - fonte David Gosset’s speech on Ecological Civilization and a Community with a Shared Future - Countdown to the Launch of  C.E.A. Net-Zero Transition Platform, 29/10/2021 Wechat Official Platform of C.E.A. Global Initiative http://ourglobalinitiative.com/68/63

[38] Human Capital and Sustainability, Ivo Šlaus e Garry Jacobs - Sustainability 2010, 2, 1-x manuscripts; doi:10.3390/su20x000x  - www.mdpi.com/journal/sustainability ISSN 2071-1050

[39] Oltre la crescita. L'economia dello sviluppo sostenibile di Herman DALY, 2001- ISBN 9788824505888

[40] È la qualità del capitale umano il fattore decisivo per lo sviluppo sostenibile, 8 Maggio 2020, Carlo Carraro, Presidente della European Association of Environmental and Resource Economists (EAERE), Rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia dal 2009 al 2014 e Direttore del Dipartimento di Economia dal 2005 al 2008. https://carlocarraro.org/argomenti/formazione/la-crescita-sostenibile-parte-dal-capitale-umano/

[41] L’Albania ha un grave disallineamento con il mercato del lavoro, nel quale molti giovani faticano a trovare un impiego in linea con gli studi fatti. Se le lauree più quotate sono quelle in Scienze sociali, Economia e Commercio, Medicina e Infermieristica, Ingegneria, quando si analizza la situazione lavorativa dei laureati albanesi li si ritrova a lavorare nei call center, i più fortunati in quelli che offrono servizio Forex. I call center in Albania occupano circa 25000 giovani, assunti soprattutto per l’abilità a parlare una o più lingue straniere. Blog - https://www.lavocedellaquila.com/2018/12/07/albania-per-i-suoi-studenti-listruzione-costa-quasi-quattro-volte-di-piu-che-nel-resto-deuropa/

 

[43] Albania sempre più vecchia: popolazione in calo e nascite al minimo storico, https://www.albanianews.it/statistiche/instat-albania-vecchia-2018

[44] L’Italia e l’Albania sono nelle ultime posizioni tra i Paesi OCSE per livelli di spesa in formazione in rapporto al PIL e il sistema formativo è arretrato nei contenuti e nelle modalità di acquisizione delle competenze. Fonte: È la qualità del capitale umano il fattore decisivo per lo sviluppo sostenibile, 8 Maggio 2020, Carlo Carraro (EAERE), Rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia dal 2009 al 2014 e Direttore del Dipartimento di Economia dal 2005 al 2008. https://carlocarraro.org/argomenti/formazione/la-crescita-sostenibile-parte-dal-capitale-umano/ https://exit.al/it/2017/11/bilancio-2018-listruzione-non-e-una-priorita-del-governo/

[45] Anthony Wall, The Measurement and Management of Intellectual Capital in the Public Sector, Public Management Reviews 2007

[46] Thi Lam Anh Nguyen, Diversification and Bank Efficiency in six ASEAN countries, Global Finance Journal 2018.

[47] Anshu Premchand, Open Banking and APIs for transformation in banking, International Conference on Communication, Computing and Internet of Things, 2018

[48] Robin Bhowmik, Banking 4.0 - How humans will continue to remain indispensable, CNBC 22-01-2020

[49] Iwa Kuchciak e Izabela Warwas, Designing a roadmap for human resource management in the Banking 4.0, Journal of Risk and Financial Management, 2021

[50] Deloitte, Digital Banking Redefined, 2021

[52] Piano di Impresa Intesa Sanpaolo 2022-2025, Una Banca forte per un mondo sostenibile, 04/02/2022.

[53] Nell’arco del piano sono infatti previste 4.600 nuove assunzioni e ben 8.000 interventi di riconversione e riqualificazione professionale dei dipendenti già in organico: oltre l’80% di queste persone verrà collocata in funzioni fortemente orientate all’innovazione come la filiale digitale, il digital, data e analytics, il de-risking e la gestione dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Un’enfasi particolare sarà inoltre data allo sviluppo delle competenze, con un monte ore di formazione professionale (50 milioni) doppio rispetto a quello erogato nel precedente Piano Industriale, proporzione che riguarderà anche il numero di persone che saranno coinvolte in programmi di sviluppo dei talenti (circa 1.000).

[54] La Stampa, Top Employer 2022, Intesa Sanpaolo tra i migliori datori di lavoro, 20/01/2022.

[55] Sito istituzionale Intesa Sanpaolo, Iniziative per Università e Scuola https://group.intesasanpaolo.com/it/sociale/iniziative-per-universita-e-scuola


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