“Oggi come allora l’emancipazione femminile è vista come una minaccia individuale e collettiva, minaccia per la virilità, per la cellula familiare, per la società.”
Si è espresso così il Magnifico Rettore dell’Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” nella Sua riflessione durante il Convegno “Chi dice Donna…dice Donna” che ha avuto luogo il 25 novembre 2020.
Vi proponiamo in seguito l’intervento del Prof. Bruno Giardina per la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, durante l’evento organizzato online, con il patrocinio della Croce Rossa Italiana ed il Corpo delle Infermiere Volontarie.
CONVEGNO: GIORNATA SULLA VIOLENZA SULLA DONNA
Edgar Degas, Intérier, 1868-69. Philadelphia Museum of Art.
Buon giorno a tutti. Permettetemi di ringraziare il comitato organizzatore ed il comitato scientifico per avermi invitato a partecipare a questa importante giornata. Credo sia giusto ringraziare anche tutti coloro che hanno patrocinato l’evento.
La violenza sulla donna merita tutta la nostra attenzione perché colpisce brutalmente la nostra anima e il nostro desiderio di essere veramente uomini. Ho scelto il quadro di Edgar Degas perché oppone uomo e donna con un gioco di chiaro-scuri: la giovane donna è illuminata dalla lampada (ma la luce che emana è debole, crepuscolare), ed ha una veste bianca; l’uomo è nella penombra, una macchia scura che incombe con quell’ombra sulla parete. Ha le mani sui fianchi in una posizione che denota superiorità, senso di onnipotenza. L’ambiente è sciatto e disordinato. La donna volta le spalle come se l’uomo non ci fosse ma percepiamo la sua paura e la sua umiliazione da quella sua postura incerta, quasi ripiegata su se stessa, sul suo destino. Nel chiaro-scuro il conflitto uomo/donna, l’impotenza di lei, l’aggressione di lui. L’artista allude senza “dire” in maniera esplicita, perché ciò che si è consumato o che si consumerà è innominabile. Degas rifiutò sempre il titolo che fu dato in seguito all’opera (Le viol). Ma, spesso, l’allusione, la forza dell’immaginazione è molto più potente. La nostra attenzione si sofferma su ciò che può essere, su ciò che è stato, sul sommerso. Un’opera altamente simbolica e allusiva nei confronti delle molte storie, sommerse, di donne che vivono queste tensioni nel loro tragico quotidiano.
La locandina dell’evento (complimenti a chi l’ha creata) suscita emozioni forti unendo dolcezza, inquietudine e al tempo stesso paura. Il titolo racchiude in realtà una storia millenaria che ha visto la donna inquadrata di volta in volta in un paradigma storico-antropologico che non evidenziava mai la completezza del suo essere, come evidenzia lo storico Vittorio Sironi: la donna-madre (relegata al solo compito riproduttivo e alla cura della casa), la donna-utero (la scoperta anatomica del corpo femminile e della sua specificità confinata in questo organo), la donna-imperfezione (il corpo femminile è sempre stato visto come un’introversione di quello maschile e, dunque, incompiuto), la donna “femme fatale” (dal Romanticismo in poi nell’arte e nella letteratura sono frequenti le donne dal fascino seduttivo mortale che recano in sé la stigmatizzazione della sessualità femminile), la donna-lavoratrice (le rivoluzioni industriali la introducono nel mondo del lavoro e del conseguente sfruttamento), la donna-individuo (finalmente consapevole dei suoi diritti come persona e soprattutto come donna. Sono gli anni dell’emancipazionismo prima, e del femminismo, poi). Il valore della donna è sempre stato attribuito dall’uomo; il mondo maschile delineava il suo statuto morale, sociale, culturale, biologico, da cui dipendeva la sua integrazione sociale. L’indipendenza della donna si confronta ancora oggi con il peso di questo retaggio millenario. Donna e basta. A questo proposito un testo significativo è “Una donna” (1906) di Sibilla Aleramo: la sua storia biografica diventa la storia di tutte le donne (come sottolinea l’articolo indeterminativo una). Un testo alle origini del femminismo in Italia in cui emerge la lotta e, spesso, la tragica scelta, delle donne per non essere solo madri o solo mogli: “la buona madre non deve essere, come la mia, una semplice creatura di sacrificio: deve essere una donna, una persona umana. E come può diventare una donna, se i parenti la dànno, ignara, debole, incompleta, a un uomo che non la riceve come sua uguale; ne usa come d’un oggetto di proprietà …?”. Parole lontane nel tempo ma che oggi sembrano riapparire, spingendo le donne oltre un confine che a fatica avevano superato.
È il Novecento il secolo in cui le donne cominciano ad apparire come soggetto di produzione e di trasmissione della cultura. Questa generazione di donne sembra caratterizzata dalla volontà di tenere un quaderno nascosto (diari, lettere, taccuini): finalmente affidano alla scrittura la propria identità, ma sempre “in punta di piedi”: “Io non domando fama, domando ascolto”, scrive la Aleramo. La Aleramo diventa il simbolo delle donne che, come scriveva Virginia Woolf, nel 1929, reclamano una stanza tutta per sé, reclamano il diritto di “spogliarsi” della “vestaglia di flanella” che “assicurava” loro, ad ogni istante, “di essere proprio donne maritate”. La vestaglia di Sibilla Aleramo è il simbolo di quello che la donna non vuole essere. Il termine usato, assicurare, ha il sapore amaro di una condanna, di un ruolo precostituito, di un contratto cui non ci si può sottrarre.
La violenza cui stiamo assistendo nasce spesso in contesti in cui la donna si ribella ad un uomo, marito/padre-padrone, desiderando scappare da un legame opprimente e violento. Cosa spinge a questa violenza? È molto difficile analizzare tutte le componenti. Credo che la violenza sulle donne sia la punta drammatica di un iceberg ben più grande, le cui radici affondano, come abbiamo visto, molto lontano. Le forme di violenza contro le donne sono oggi molteplici. Gli uomini violenti vogliono relegare le loro mogli, fidanzate, figlie (pensiamo a certi contesti culturali) ora nel modello di donna-madre, ora in quello di donna-oggetto, sottomessa e servile, ora in quello di donna-imperfetta (spesso disprezzata), ora in quello di donna-bambola (passiva e inconsapevole). Non accettano lo spettro di colori che le donne recano dentro di sé. Oggi come allora l’emancipazione femminile è vista come una minaccia individuale e collettiva, minaccia per la virilità, per la cellula familiare, per la società. Ecco allora che se le donne non vogliono essere ciò che l’uomo vuole che siano (la sua identità virile si costruisce su questo), sarà comunque lui a ridisegnare la loro identità: togliendo loro il ruolo di madre e, in molti altri casi, togliendo loro il corpo o il volto, sfigurandole. Non dimentichiamo poi la violenza sui bambini, sugli anziani su tutti i più deboli. La donna rappresenta tutte queste figure e diventa la vittima per eccellenza. Dobbiamo operare con l’educazione, con la scuola, con tutti i processi formativi a nostra disposizione. Il compito è arduo perché bisogna arrivare a tagliare le radici che spesso si sviluppano all’interno della famiglia. La nuova cultura del rispetto umano, del rispetto dell’altro deve riuscire ad entrare entro le mura domestiche, deve riuscire a cambiare i rapporti e le interazioni. Tutti devono contribuire, tutti noi dobbiamo far crescere nella società il rispetto dei valori umani fondamentali. Credo che la rivoluzione che ci attende debba essere prima di tutto culturale e, conseguentemente, valoriale. “Il problema della conoscenza è uno solo ed è tutto nei valori che sono dentro di noi” (A. Anile, Vigilie di scienza e di vita, 1921). Lo stigma subito dalle donne per millenni deriva dalla cattiva conoscenza. È per questo che giornate come questa sono importanti: sono uno dei momenti formativi che possono far nascere una sensibilità nuova, una società migliore.
Un ringraziamento particolare alla prof.ssa Petrillo che da sempre ci stimola con le sue riflessioni e con le sue iniziative. Sono sicuro che questa giornata ci arricchirà e ci darà nuovi spunti di riflessione. Buon lavoro a tutti e grazie.
Bibliografia
V. Sironi, Medicina al femminile: la salute della donna nei secoli. Relazione presentata al Convegno “Donna e Salute: interesse pluridisciplinare e pensiero
Transculturale”, Milano, 15 marzo 2005.
S. Aleramo, Una donna (1906), Milano, Feltrinelli, 1992.
S. Aleramo, Amo dunque sono, Milano, Feltrinelli, 2016.
V. Woolf, Una stanza tutta per sé (1929), Milano, Mondadori, 2016.
E. Comoy Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura. Approccio epistemologico alle malattie nervose nella narrativa italiana (1865-1922), Firenze,
Edizioni Polistampa, 2007.
H. Ibsen, Casa di bambola (1879), Torino, Einaudi, 1963.
M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni, 1986.
A. Anile, Vigilie di scienza e di vita, Bari, STEB, 1921.