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Celebriamo la festa dell’Europa

Il 9 maggio è la festa dell’Europa ed è una data scelta perché nel 1950 l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman presentò il piano di cooperazione ed integrazione economica che da tutti è indicato come prodromico alla successiva creazione dell’odierna Unione Europea.


Da Raul Caruso, Direttore CESPIC

Il 9 maggio è la festa dell’Europa ed è una data scelta perché nel 1950 l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman presentò il piano di cooperazione ed integrazione economica che da tutti è indicato come prodromico alla successiva creazione dell’odierna Unione Europea. Nel momento in cui tale discorso fu pronunciato, l’Europa era una regione devastata e lacerata a causa della seconda guerra mondiale e della follia nazi-fascista che aveva determinato all’incirca 40 milioni di vittime. La guerra era stata dichiarata conclusa solo cinque anni prima e il percorso della ricostruzione non era che agli inizi. Un nuovo sistema internazionale stava prendendo forma: era stata fondata l’Organizzazione delle Nazioni Unite e gli accordi di Bretton Woods avrebbero di lì a poco cominciato a dare forma al nuovo sistema economico internazionale.

La Guerra Fredda era oramai cominciata con il Blocco di Berlino e il colpo di stato in Cecoslovacchia. Dopo la devastazione nazi-fascista, per i paesi occidentali il pericolo era rappresentato dall’Unione Sovietica e dalla diffusione del comunismo in altri paesi d’Europa. La dichiarazione Schuman si inseriva in un contesto in cui i rischi di un nuovo conflitto erano più presenti che mai. Il sogno dell’Europa unita era in pratica il sogno della pace. E quindi la successiva creazione della Ceca e poi delle Comunità europee rispondevano, in primo luogo, all'imperativo categorico di ricostruzione del continente dilaniato dal conflitto mondiale e poi alla costruzione di un'area di benessere economico diffuso che disinnescasse gli incentivi al conflitto tra i paesi europei, in particolare tra Francia e Germania. In breve, le misure economiche adottate nel processo di integrazione avevano quale fine ultimo quello di pacificare il continente.

L’integrazione europea, quindi, nasceva come una missione di pace. Questa missione di pace nasceva con delle prescrizioni economiche improntate al libero scambio e alla condivisione delle risorse perché era ancora vivido il ricordo degli assurdi errori commessi alla fine della Prima Guerra Mondiale nel Trattato di Versailles. In quell’occasione, le compensazioni dovute dai tedeschi sono state spesso indicate tra le cause principali che avevano fatto precipitare la Germania nella spirale della violenza nazista.

La ricostruzione europea dopo la seconda guerra mondiale, facendo tesoro degli errori del passato, fu improntata all’integrazione economica tra paesi, la solidarietà tra territori e il sostegno ai settori vitali dell’economia. Ebbene, solo fino a pochi anni fa nessuno avrebbe usato una parola diversa da ‘successo’ per definire l’esperienza dell’integrazione europea: il benessere dei cittadini era cresciuto oltre le più rosee aspettative, le imprese europee in pochi anni avevano colmato il gap tecnologico con le imprese americane, e anche gli allargamenti successivi avevano concretizzato le medesime aspettative per paesi che uscivano da una storia di dittature e totalitarismi.

A 70 anni della dichiarazione di Schuman, però, secondo alcuni il futuro dell’Unione Europea appare per molti aspetti incerto. Invero, in questi ultimi anni, il processo di integrazione ha vissuto alcune incertezze e passi falsi in particolare all’indomani della grande crisi economica del 2008 e alla crisi dei debiti sovrani del 2011. In questi passaggi, si è visto che le pressioni che subiscono i governi al proprio interno possono influenzare in maniera sostanziale i processi di integrazione in corso. Le crisi economiche, infatti, hanno innescato una serie di rivendicazioni a livello nazionale che hanno creato il contesto ideale per strutturare e rafforzare partiti e movimenti populisti e/o di estrema destra, che – probabilmente manipolati – hanno lavorato in questi anni per indebolire la costruzione europea mettendo a rischio le conquiste e il benessere raggiunti da milioni di persone.

La Brexit è solo la manifestazione più eclatante di una tendenza alla frammentazione che si è manifestata in quasi tutti i paesi e che poi è stata legittimata a livello globale dall’amministrazione americana di Donald Trump. I rischi di frammentazione sono poi aumentati con la Pandemia Covid-19 anche perché il “chiassoso”discorso pubblico in merito alla presunta inadeguatezza delle istituzioni europee domina purtroppo le voci più moderate e attente che hanno sottolineato le criticità ma anche i passi avanti dell’Unione in questo passaggio storico. La sensazione comunque è che l’UE debba comunque recuperare uno slancio politico e strategico che appare perduto o dimenticato. In pratica, l’Unione deve tornare ad essere in primo luogo un progetto di Pace. Perché ciò avvenga, gli stati membri devono recuperare quella forte capacità di innovazione istituzionale che a volte è sembrata indebolita.

Come europei, i passi in avanti che dobbiamo delineare sono: (1) ulteriori cessioni di sovranità in ambito fiscale per consentire una maggiore capacità di politica economica su base continentale; (2) rafforzare la rappresentanza democratica dei cittadini attraverso la cessione di ulteriore competenze al Parlamento;(3) ulteriori avanzamenti nell’ambito della difesa comune dopo l’approvazione della Pesco nel dicembre del 2017; (4) un’accelerazione dei processi di allargamento ai paesi dei Balcani per realizzare una volta per tutta il sogno di un’Europa unita anche nelle sue regioni periferiche; (5) Una politica estera comune che effettivamente dia concreta realizzazione all’art. 21 del trattato sull’Unione europea in cui gli stati membri avevano affermato che i principi di azione dell’Unione sulla scena internazionale sono: il mantenimento della Pace, il sostegno alla democrazia e il rispetto dei diritti umani. A questo proposito, in particolare, sono preoccupanti le relazioni degli ultimi anni di singoli stati membri con stati non democratici. Ulteriori passi in avanti senza un chiarimento su questo punto rischiano di essere portatori di ambiguità che potrebbero poi rivelarsi estremamente pericolose negli anni a venire.

Oggi quindi celebriamo la festa dell’Europa non solo ricordando i successi dell’Unione ma anche auspicando che in questo passaggio storico si pongano le basi per un rilancio del sogno di un’Europa unita che garantisca pace, diritti e solidarietà in un’area sempre più ampia. Il fallimento di questo disegno riporterebbe milioni di persone e famiglie a un’epoca oscura fatta di diseguaglianza, violenza e privazioni. Ai nostri governanti dobbiamo chiedere quindi passi chiari e decisi nella direzione di un’Europa unitain modo tale che la vita delle prossime generazioni non sia minacciata dai fantasmi della guerra e della povertà.  


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