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Post COVID-19. Evitare una «crisi generale del XXI secolo»

Nei prossimi mesi l’emergenza sanitaria dettata dalla pandemia sarà sotto controllo, ma è oramai certo che vi sarà una profonda recessione globale.


Di Raul Caruso

Nei prossimi mesi l’emergenza sanitaria dettata dalla pandemia sarà sotto controllo, ma è oramai certo che vi sarà una profonda recessione globale. L’organizzazione mondiale del commercio (WTO) ha stimato una contrazione del commercio mondiale tra il 13% (scenario ottimistico) e il 32% (scenario pessimistico)[1]. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) ha previsto che gli investimenti diretti delle imprese multinazionali potrebbero subire un rallentamento intorno al 30% nel prossimo biennio[2]. L’organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ha stimato che nel secondo trimestredel 2020 saranno andate perdute il 6,7% delle ore lavorate a livello globale dato che l’81% della forza lavoro a livello globale è soggetta al lockdown o restrizioni parziali[3]. Nei prossimi giorni il Fondo Monetario Internazionale (FMI) pubblicherà il World Economic Outlook con le previsioni in merito all’economia mondiale ma è certo che il Pil subirà una contrazione e che in molti paesi tale contrazione potrebbe superare il 10%.

Invero, la recessione sarà dura e pervasiva. La domanda da porsi è se essa riscriverà le ‘regole del gioco’ del sistema che conosciamo, vale a dire se una delle più grandi fasi di stagnazione economica degli ultimi secoliporterà con séuna ristrutturazione degli attuali sistemi politici di riferimento. Il precedente storico da evitare è quello della «crisi generale del XVII secolo». Nella prima metà del XVII secolo la seconda ondata pandemica di peste, infatti, fu accompagnata da una profonda ristrutturazione dei sistemi politici ed economici. Nell’analizzare quel periodo storico, si fa spesso riferimento al famoso saggio di Hobsbawm del 1954[4] in cui lo storico inglese presentava gli elementi che caratterizzarono la grande crisi che segnò l’iniziodella transizione dal feudalesimo al capitalismo e la nascita di un nuovo sistema politico internazionale dopo la pace di Vestfalia del 1648[5] che pose fine alla Guerra dei trent’anni. Hobsbawm individuava in un quadro unico alcuni elementi principali nella grande crisi e precisamente: (i) la stagnazione dei commerci a livello globale; (ii) la demografia in calo; (iii) la clusterizzazione di alcuni conflitti violenti e di rivoluzioni. A questi possiamo aggiungere alcuni aspetti non trascurabili studiati a fondo successivamente da altri storici e scienziati sociali e precisamente (iv) la profonda crisi finanziaria del paese egemone[6], (v) il crollo dei prezzi nel commercio internazionale e dei tassi di interesse, (vi) processi di cambiamento climatico.

I medesimi elementi sono purtroppo presenti anche adesso. Attualmente, se il cambiamento climatico e il rallentamento demografico sono tendenze di lungo periodo, lo stesso non si può dire per conflitti violenti e rallentamento dell’economia globale che hanno subito un’accelerazione successivamente alla grande crisi finanziaria del 2008. In questa interpretazione, pertanto, la recessione globale che seguirà alla pandemia Covid-19è legata dalla grande crisi finanziaria del 2008 andando a costituire un’unica e lunga congiuntura. Il rischio è esattamente quello di doversi ritrovare in una «crisi generale del XXI secolo». In questo caso la conseguenza è che dobbiamo attenderci non solo la più grave recessione degli ultimi secoli, con crollo inimmaginabile della capacità produttiva e con un aumento mai registrato della povertà e delle disuguaglianze a livello globale, ma anche lo stravolgimento dell’ordine politico esistente.

Già all’indomani della grande crisi del 2008, infatti, l’ordine internazionale liberale ha cominciato a dare segni di cedimento strutturale. Lo shock economico ha infatti posto sotto pressione governi in tutto il mondo favorendo il ritorno a processi di ‘chiusura’ economica e di deterioramento della democrazia. Negli anni successivi al 2008, in ambito economico abbiamo assistito al ritorno al protezionismo, a ‘guerre’ commerciali e alla crisi di istituzioni globali, in particolare della WTO. In ambito politico, abbiamo assistito a una diffusione di autoritarismi concretati e legittimati seppur lentamente attraverso meccanismi plebiscitari che hanno legittimato in alcuni casi un ritorno al passato su diritti e libertà fondamentali. Il caso più eclatante è probabilmente quello di Donald Trump negli Stati Uniti, ma la lista è davvero lunga e include tra gli altri Bolsonaro in Brasile, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Orban in Ungheria. Dal punto di vista della violenza generalizzata, abbiamo assistito all’incancrenirsi di conflitti (Libia, Yemen e Siria su tutti) che, oltre a certificare l’incapacità della comunità internazionale di trovare un equilibrio, hanno generato tragedie umanitarie prima sconosciute per ampiezza. La crisi che seguirà alla pandemia COVID-19, purtroppo, potrebbe rafforzare questi processi già in corso.

In queste ultime settimane, un’ulteriore chiusura economica dei paesi è già in corso. Alla luce dell’emergenza sanitaria, molti paesi nel mondo hanno cominciato a imporre restrizioni agli scambi e non solo ai movimenti delle persone. La democrazia in molti paesi vede moltiplicarsi le sue contrazioni e distorsioni. I casi più noti sono quelli dei ‘pieni poteri’ ottenuti da Orban in Ungheria e di Janez Janša in Slovenia - nel cuore dell’Europa.

Nessuna area geografica del mondo sarebbe immune da una «crisi generale del XXI secolo». In particolare, i paesi oggi più sviluppati e democratici vedrebbero non solo un crollo degli standard economici ma anche delle proprie libertà civili. Ma probabilmente a pagare il prezzo più alto degli shock negativi in ambito economico e da questo arretramento delle democrazie, saranno forse le economie emergenti, i paesi in transizione e i paesi in via di sviluppo in cui la democrazia e lo sviluppo in molti casi hanno livelli di guardia decisamente più bassi.

È necessario quindi pensare a una strategia di salvataggio ampia che si basi non solo su misure economiche ma anche su una ‘riscrittura’ delle regole che informano i comportamenti degli stati nel contesto globale e non solo dal punto di vista economico. Dall’affanno dell’ordine liberale internazionale, del resto è oramai chiaro che la ricetta dei salvataggi su base nazionale finanziati con debito pubblico e supportati da iniezioni di liquidità a livello globale - per quanto necessario ed efficace - in alcuni casi non ha funzionato pienamente. L’errore, condiviso da molti policy-maker, infatti è stato considerare che salvare le economie fosse più importante che salvare le istituzioni con regole e diritti condivisi. Ritenere anche in questo caso che da questo passaggio storico si esca esclusivamente con politiche monetarie coordinate accomodanti, politiche fiscali espansive e sostegno ai redditi su base nazionale è sbagliato. Non è possibile salvare i sistemi economici senza salvare anche la democrazia. In questo caso giova ricordare la lezione del premio Nobel DouglassC. North “[…] Lo sviluppo di istituzioni che creano un ambiente favorevole a soluzioni cooperative in un complesso contesto di scambio è alla base della crescita economica […][7]”. Invero, salvare la democrazia e le istituzioni internazionali in cui la cooperazione si concreta dovrebbe essere l’imperativo categorico di questa fase drammatica. 

È essenziale quindi far ripartire subito il dialogo e la cooperazione internazionali affinché gli assetti economici e gli assetti politici che conosciamo non vadano a ribaltarsi in maniera violenta in diverse regioni del mondo. Nessun governo può pensare di ‘fare da solo’. A livello globale bisogna ripartire rivitalizzando in primo luogo istituzioni come ONU e WTO, uniche organizzazioni governate su base democratica in cui i Paesi – seppur diseguali in termini di potere ed influenza – hanno possibilità di ritrovare organi e istituzioni per la risoluzione delle controversie. Negli anni, in particolare, è stata sottovalutata l’importanza dell’organo di risoluzione delle controversie della WTO che potrebbe invece rivestire in futuro un ruolo cruciale. Bisogna arginare il più possibile la frenata degli scambi, il ritorno al protezionismo e la disarticolazione delle catene globali del valore. Per questo la WTO diviene l’organizzazione su cui concentrare gli sforzi nei prossimi anni. 

Con urgenza massima, inoltre, nei prossimi mesi occorrerà riformarela governance e le pratiche del Fondo monetario internazionale (FMI) per favorire una maggiore partecipazione delle economie emergenti per poi modificare in maniera significativa i diritti speciali di prelievo[8]e soprattutto i criteri della condizionalità già criticata da anni per l’impatto negativo su disuguaglianza, salute e diritti umanima che adesso rischia di risultare decisamente controproducente se non addirittura disastrosa. Lo stesso Fondo dovrà essere in grado di svolgere un ruolo aggiuntivo, vale a dire quello di coordinatore per efficaci controlli dei capitali al fine di minimizzare il deflusso di capitali dai paesi più poveri e la volatilità nei mercati finanziari.

È urgente inoltre, un coordinamento globale per la stabilizzazione dei prezzi a livello mondiale in particolare per le commodity e i beni agricoli. Un’eccessiva volatilità dei prezzi delle commodity ha effetti negativi sui mercati, sui produttori e sui consumatori. Dal lato della produzione una maggiore stabilità dei prezzi ha il pregio di favorire investimenti, accumulazione di capitale, mantenimento dei livelli occupazionali e aumenti di produttività. Dal lato dei consumatori, una maggiore stabilità dei prezzi serve a evitare il crollo verticale del potere d’acquisto delle fasce più povere della popolazione. Peraltro, subita nei shocknei prezzi in molti casi innescano fenomeni alla violenza in aree e paesi intrappolati in una spirale di povertà.

Protagonisti di questo complesso processodi salvataggio non potranno non essere le democrazie occidentali che dispongono ancora delle risorse e della capacità istituzionale per dare forma a tali processi. Ma per dare una forma credibile alla cooperazione e dar sostanza alle misure economiche, i governi in primo luogo devono sedersi a un tavolo per bloccare i conflitti armati in corso sia elaborando soluzioni per i cessate-il-fuoco sia depotenziandoli bloccando le forniture di armi. Il mondo non può più permettersi di sostenere le tragedie umanitarie in corso. Il 10 aprile non a caso il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha dichiarato che la pandemia COVID-19 costituisce una minaccia alla pace e alla sicurezza[9]. Nella stessa ottica, peraltro, nel settembre del 2014, ad esempio, il consiglio di sicurezza dell’ONU aveva approvato all’unanimità la risoluzione 2177 in merito alla diffusione del virus Ebola riconoscendo che il problema non fosse esclusivamente sanitaria ma riguardasse piuttosto la pace e la sicurezza internazionali.

La cooperazione politica sui fronti difficili come quello dei conflitti armati e della crisi dei rifugiati, quindi, sarà la strada maestra per una più efficace cooperazione in ambito economico. In questo senso l’esperienza dei Paesi balcanici in queste settimane è emblematica. Dopo mesi di negoziati e intermediazioni, il 25 marzo il Consiglio europeo ha finalmente dato il via libera ai negoziati di adesione all'Unione europea per Albania e Macedonia del Nord.Il 27 Marzo la Macedonia del Nord è diventata ufficialmente membro della NATO e infine il giorno 10 aprile, il consiglio del Fondo monetario internazionale ha approvato un finanziamento urgente per Albania, Kosovo e Macedonia del Nord. Esiste un legame tra questi momenti istituzionali apparentemente indipendenti ed è costituito dalla partecipazione a una comunità internazionale con regole e diritti condivisi. La resistenza e la rinascita economica passeranno da queste strade. Una «crisi generale del XXI secolo» potrà essere evitata solo attraverso un rilancio delle istituzioni globali nel perseguimento di una più incisiva cooperazione internazionale finalizzata alla pace, da sempre il più importante fattore di sviluppo stabile e duraturo per le società.

 

[1]Trade forecast press conference, remarks by DG Azevedo. https://www.wto.org/english/news_e/spra_e/spra303_e.htm

[2] Investment Trend Monitor, Impact of the COVID-19 Pandemic on Global FDI and GVCs, marzo2020,  https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/diaeiainf2020d3_en.pdf

[3]ILO: COVID-19 causes devastating losses in working hours and employment https://www.ilo.org/global/about-the-ilo/newsroom/news/WCMS_740893/lang--en/index.htm

[4]Hobsbawm E.J., (1954), The General crisis of the European Economy in the 17th century, Past & Present, 5, pp. 33-53.

[5] La pace di Vestfalia pose fine alle Guerra dei Trenta anni (1618-1648)

[6] La monarchia spagnola visse numerosi dissesti finanziari tra il XVI e XVII secolo e precisamente negli anni: 1557, 1575, 1596, 1607, 1627, 1647 e in particolare tra il 1619 e il 1623.

[7] Dalla prefazione di North D.C. (1990) Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia, ed. italiana 1994, Il Mulino, Bologna.

[8] I diritti speciali di prelievo, Special drawingrights (SDR) del FMI, creati nel 1969, corrispondono all’unità di conto del FMI e costituiscono in caso di necessità delle riserve globali di liquidità si veda https://www.imf.org/en/About/Factsheets/Sheets/2016/08/01/14/51/Special-Drawing-Right-SDR

[9] Si veda https://news.un.org/en/story/2020/04/1061502

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